Un triste esempio di quanto la politica regionale non tuteli l’ambiente: il caso dei ricci di mare in Sardegna.

Gli studi condotti negli ultimi decenni mostrano in modo inequivocabile il drammatico declino demografico dei ricci di mare nei mari della Sardegna, vivendo da bambino ad Alghero, ricordo quando la massiccia presenza di ricci rendeva rischioso camminare sugli scogli senza calzari. Le densità di popolazione si sono ridotte in modo enorme, anche del 93% in alcune zone rispetto agli anni ’80.
Il monitoraggio degli ecosistemi è utile per avere un quadro oggettivo, ma un qualsiasi algherese con più di trent’anni non può dimenticare cosa volesse dire mettere i piedi a bagno agli scogli senza indossare i “calamaretti”, visto che con la grande quantità di ricci si correva il rischio di rientrare a casa pieni di spine. Ricordo mia madre che con fare da chirurgo arroventava l’ago al fuoco per estrarre una ad una le dolorose spine. Oggi quel rischio è un miraggio.
Specie erbivora chiave, il riccio di mare vive naturalmente nelle praterie di posidonia, importante habitat costiero. Ad Alghero abbiamo assistito a un duplice fenomeno: la rarefazione dei ricci ha determinato un eccessivo accumulo di posidonia spiaggiata.
Un duplice danno quindi sia nella gestione della specie marina, o del prodotto ittico a seconda dal lato in cui si guarda, e sia nella gestione delle spiagge.
Alla base di questa crisi vi sono molteplici fattori di stress. In primis la pesca insostenibile, che ha depauperato gli stock riproduttivi. Si sommano poi gli impatti dei cambiamenti climatici, con l’incremento della temperatura del mare e i processi di acidificazione. A ciò si aggiunge la distruzione degli habitat.
Gli squilibri indotti stanno compromettendo in modo forse irreversibile l’integrità delle praterie di posidonia, fondamentali serbatoi di biodiversità. Un vero collasso ecologico è in atto, ignorato dalla politica regionale.
Nel 2021 era stata varata una pionieristica moratoria triennale della pesca, unica soluzione per favorire il ripopolamento. Purtroppo è rimasta lettera morta a causa delle pressioni dei pescatori, che hanno indotto illegittimi dietrofront.
L’ultimo sfregio è del 30 novembre, con l’ok a riprendere la pesca fino a maggio 2024. Decisione irrazionale che ignora gli appelli degli studiosi. La credibilità delle istituzioni è ai minimi: urge un cambio di passo a tutela della biodiversità marina della Sardegna.
Ancora una volta la politica regionale ha tradito le future generazioni, sotto l’ennesimo ricatto di parte delle lobby della pesca. Politica incapace di trovare alternative sostenibili agli operatori e che quindi ha percorso la soluzione più semplice a danno dell’ecosistema. Un’inerzia inaccettabile, che getta nel baratro le future generazioni di sardi. È giunto il momento di anteporre all’opportunismo elettorale la tutela della nostra eredità naturale.

Roberto Ferrara